Il metodo di coltivazione Biointensivo è stato teorizzato e sperimentato con successo sin dagli anni ’70 da John Jeavons e dal gruppo “Ecology Action”. In Val Gandino l’idea è nata e cresciuta a partire dal 2013, grazie ad un corso tenuto dal docente messicano Juan Manuel Valdez nell’ambito delle attività di preparazione ad Expo 2015.
Pionieri di questa attività sono stati in particolare Ivan Moretti ed Angelo Savoldelli della Comunità del Mais Spinato di Gandino. A loro si devono i primi campi sperimentali in località Valle Gaggio a Cazzano S.Andrea e presso Cà Parecia a Gandino.
Il Metodo Biointensivo permette di lavorare la terra senza alcun agente inquinante, con una produzione due-tre volte superiore a quella tradizionale e con un risparmio di acqua fino all’80%. L’aspetto su cui il biointensivo si concentra maggiormente è l’attenzione per il suolo. Creando e mantenendo il suolo vivo e fertile l’agricoltore può coltivare alimenti salubri per se stesso e per gli altri.
Si comincia preparando un terreno lavorato più in profondità, con piante seminate una vicina all’altra, affinchè le radici possano scendere più in profondità rispetto al metodo tradizionale. Esse trovano umidità anche nei periodi di siccità (quindi si risparmia acqua) e si alimentano con il compost prodotto con tutti i materiali di scarto dell’orto, dalle biomasse ottenute dalla coltivazione del mais ed eventualmente del frumento, agli scarti vegetali freschi. Inoltre si usa meno spazio, anche meno della metà.
La consociazione è elemento importante di questo metodo: per quanto riguarda il mais, per esempio, la consociazione è con il fagiolo e con la zucca. Altro aspetto importante è la produzione di semi propri, più adatti all’ambiente in cui sono stati prodotti, e più sani perché non trattati. Ciò offre un grado di germinabilità superiore rispetto a quelli normalmente in commercio e una maggior resistenza agli attacchi di parassiti.